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In questo elenco si includono cantaoras/cantaores, guitarristas, bailaoras/bailaores che sono entrati nella storia del flamenco

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Termine Definizione
Manuel Molina

Manuel Molina, cantante gitano, meglio conosciuto nella storia dell'arte del canto flamenco con il nome d'arte di El Señor Manuel Molina, detto anche Curro Molina, nacque a Jerez de la Frontera (Cadice) nell'anno 1822, e morì nella sua città natale di Jerez nel 1879. Il suo cante por siguiriyas lasciò una scuola grandiosa degna di non dimenticare quei grandi maestri del canto come Manuel Torre, che seppe divulgarlo con grande purezza.

Il percorso artistico di quest'uomo di Jerez nato nel quartiere di San Miguel, che si alternava alle sue attività di vendita di bovini e carni, per le quali era chiamato "Señor", si è concentrato principalmente sui raduni di aficionados nei colmaos di Jerez, Cadice e Siviglia, anche se per alcune stagioni si esibì nei café cantantes delle suddette città, in particolare nel Café de Variedades e Café de Lombardos a Siviglia, su richiesta dei suoi numerosi seguaci, perché non ne aveva bisogno finanziariamente.

Secondo Demófilo, fu un cantaor largo di siguiriyas, soleares, tonás e livianas ed è considerato uno dei primi interpreti conosciuti del martinete. Organizzava feste private dove riuniva cantanti della statura di Mellizo o Frasco el Colorao.

Sinonimi - El Curro Molina, El Señor, Curro Molina, Manuel Molina
Manuel Torre

Manuel Soto Loreto nasce alle 3 di mattina,  a Jerez de la Frontera (Cádiz) il 5 Dicembre 1878 e muore di tubercolosi a Sevilla nel 1933, giusto in tempo per evitare la Guerra Civile.


Una figura gigantesca del cante, che Fernando de Triana soprannominò “cantador de leyenda“.

Era gitano e analfabeta, non sapeva né leggere né scrivere, solo cantare, ma era un uomo con “mayor cultura en la sangre” citando García Lorca, che possedeva a detta di chi si relazionò con lui una singolare sabiduría. Era conosciuto con i nomi artistici di Manuel Torre, Niño de Jerez o El Niño Torre. Il soprannome “Torre” era dovuto al suo essere molto alto, statura che ereditò da suo padre. È stato un vero e proprio idolo; molti cantaores hanno seguito la sua scuola di cante; molti sono stati negli anni gli omaggi degli artisti del flamenco e la sua città natale lo ricorda con una strada che porta il suo nome e un busto che lo ritrae, nella strada parallela a quella in cui nacque: Calle Alamo 22, nel Barrio de San Miguel. Fu il quarto dei figli di Tomasa Loreto Vargas, di Jerez, e Juan de Soto Montero di Algeciras, macellaio e cantaor non professionista di Tonás e Seguiriyas residente a Jerez dai suoi 11 anni. Discendente di linea paterna dai famosi Cantorales e nipote da parte materna di Joaquín Loreto Vargas, il celebre seguiriyero più conosciuto col nome di Joaquín La Cherna, inizia a lavorare come pescivendolo, manifestando prematuramente il suo talento musicale. Così almeno la pensavano il Duque de San Lorenzo e soprattutto il militare ecijano don José Aguilar, che lo presentò come bambino prodigio e insieme a Javier Molina in due Cafés cantantes jerezanos, uno a Vera-Cruz il cui proprietario era Juan Junquera, e l’altro conosciuto come La Primera.

Manuel Torre, quello dei “sonidos negros”, è l’ispiratore di tutte le teorie sul “Duende”; ricordato come un personaggio strano, capriccioso, stravagante a volte, di un pessimo carattere e di grande insicurezza, ma che possedeva una “voz natural”– voce già utilizzata da Curro Durse, Manuel Molinae El Mellizo – e un suono rivoluzionario per i suoi tempi, di profonda passione e violente emozioni. La sua vita fu sempre estranea alle preoccupazioni sociali, aveva interesse solo per i suoi cani levrieri (a cui aveva dato nome Andújar e Amapola), i galli inglesi, la sua collezione di orologi da taschino ed infine il suo puledrino anche chiamato “Exprés de Cádiz” con il quale effettuava piccoli tragitti per le sue esibizioni.  Ascoltò i maestri jerezani a lui anteriori, ma sicuramente colui che influì maggiormente nel suo cantefu Enrique el Mellizo, con il quale ebbe a che fare in gioventù. La prima volta che egli sentì cantare questo grande maestro si mise a piangere e voleva buttarsi dalla finestra. Tutta la sua vita professionale si svolse a Sevilla, richiesto sin da giovane nei Cafés cantantes, anche se la notte della sua presentazione al Novedades disse che lo impaurivano tutte quelle luci. Fu allora che conobbe una donna bellissima: Antonia Torres Vargas la Gamba, sorella maggiore della moglie del Pinini quattordici anni più vecchia di lui e di Cadice, con la quale si sposò ed ebbe due figli Juan y Tomas. Uomo sensibile, sognatore, riservato e amante del sesso, non si fece sfuggire nessuna delle donne che incrociarono la sua strada: Paquita, Amparo, Pastora la de los Peineso Pepita la Murciana.

A Sevilla era conosciuto come el Niño de Torres; l’11 Ottobre alla Sala Filarmonica nel 1902 cantando por Tangos lentos de El Mellizo con Juan Gandulla ‘Habichuela’; da lì al Novedades con Pepe Triano ‘El Ecijano’ nuovamente con uno stile di Tangos lento conosciuto come ‘Amparo, por Dios, Amparo’, dove inizieranno a chiamarlo Manolillo El Tranteiro per la sua interpretazione della Farruca, cante che lo rese molto popolare per la competizione con il Garrotín del Niño Medina e le Marianas del Niño de las Marianas. Nel 1912 realizza una tournée a Málaga e sette anni più tardi si esibirà come Niño de Jerez al Kursaal sevillano, che si trovava nella calle O’Donnell, imprimendo già così a fondo il suo aspetto emozionale che finirà per essere il gran maestro della scuola sevillana, in definitiva lo stile su cui si articolerà la Casa dei Pavones. Nel tempo, visto il suo successo in tutta la geografia andalusa come Huelva nel 1923 e la capitale che visitò nel 1909, la sua presenza al Concurso de Cante jondo de Granada nel 1922, gli permise di essere considerato il cantaor della Generación del 27, non si dubitò nel chiamarlo ‘genio de los ingenios’, ‘un essere nato per la libertà che occupò il trono della miseria’ a detta di Antonio Mairena; ‘rey del cante gitano’, ‘El Majareta’ per D. Antonio Chacón, o ‘el Acabarreuniones’ secondo Joaquín el de la Paula.

Manuel Torre era solito passeggiare per Sevilla con il suo asino “Exprés de Cádiz”, e a lui, mentre stava a cavallo all’asino, arrivavano i piedi per terra. Frequentava la Alameda de Hércules, dove era solito lavorare cantando per i señoritos. Un giorno arrivò lì con l’asino, e si incrociò con un ragazzino che aveva un gallo da combattimento in mano. Come detto, Torre era affascinato dai galli, e finì per scambiare l’asino con il gallo. Niente di strano: a sua volta “el Exprés” lo aveva scambiato con un cavallo. Con questi trofei tornava a casa, nella calle Amapola, dove appendeva i finimenti alla porta e correvano a riceverlo i suoi cani da caccia. Era normale che respingesse qualsiasi proposta di esibirsi per guadagnare un pò di denaro per restare a guardare i suoi levrieri, o i suoi galli che lottavano, valutando la qualità dei suoi polli o semplicemente rimettendo l’ora a tutti i suoi orologi,  che occupavano sempre le tasche del suo giubbotto. È curioso che una persona così famosa per i suoi ritardi avesse tutta questa stima per gli orologi. Torre era restio a cantare, non gli piaceva farlo nei cafés e tanto meno nelle riunioni di signorotti che lo pagavano per questo. E in quelle occasioni cantava male, proprio male. Invece attraversava la campagna sevillana per andare alle juergas dei gitani di Jerez, Utrera, Lebrija e Alcalá. Dopo vari giorni tornava a casa e come se si fosse assentato solo un momento cantava la ninna nanna ai suoi figli, con tutti i vicini appostati per ascoltarlo cantare.

Come detto una delle grandi perdizioni di Manuel furono le donne. Con una di loro fece mattina in una venta vicino a Triana. Il ventero non fu molto felice quando, proprio all’alba, si vide arrivare un gitano di due metri con una donna che lo teneva per la mano, molto più giovane di lui e ubriaca persa. Torre si diresse gentilmente verso di lui per chiedere una bottiglia di aguardiente o di fino. Il ventero gliela negò. Molto lentamente e con determinazione, Torre spiegò che se gli avesse dato la bottiglia avrebbe guadagnato molto di più di quello che costava quel poco di liquore del quale lui aveva estremo bisogno per accontentare la signorina che lo accompagnava. Era una promessa un pò vaga e il cameriere serviva degli operai che facevano colazione prima d’andare a Triana o alla Cartuja. Manuel Torre continuava a sollecitare la bottiglia con la stessa grande promessa. Per non ascoltarlo più, il ventero gli “piantò” la bottiglia  su un tavolino appartato. Manuel si bevve tutto d’un fiato il primo bicchiere e cantó un Fandango. Qualche operaio chiese chi fosse quell’uomo. Manuel cantó un altra copla e qualcuno tentò di invitarlo al suo tavolo, ma lui si negò. Mentre stava cantando una Soleá, con la donna che ormai dormiva con la testa china sul tavolino, i lavoratori iniziarono a chiedere bicchierini di fino e anice: nessuno aveva intenzione di andarsene. Poi Torre cantò por Seguiriyas e così fino a mezzogiorno, quando gli operai ormai chiedevano tapas de queso. Il ventero non volle i soldi della bottiglia e il giorno successivo i giornali scrissero di un sorprendete sciopero degli operai di Triana.

Sembra che Manuel morì di tubercolosi. Un giorno, cantando una Seguiriya, arrivato al secondo tercio si rese conto di avere la camicia insanguinata; il sangue gli gocciolava dalla bocca e dal naso. Senza mutare espressione, chiese a Tomás Pavón di terminare il cante,  nominandolo così in una strana forma, suo erede. Qualche giorno dopo morì nella sua casa di Sevilla e la Gamba fu costretta a chiedere l’elemosina per poterlo interrare. Alle spese contribuì tra gli altri Pepe Marchena. Erano le quattro del pomeriggio del 21 Luglio 1933.

Manuel Torre fu un cantaor largo, che interpretò quasi tutti gli stili e in tutti, in qualcuno di più in altri meno, lasciò la sua firma, marchio di una personalità geniale. Principalmente questi gli stili in cui Manuel lascia la sua affascinante impronta personale: Tangos-tientos, Fandango, Soleá e Malagueña, e in forma maggiore le Siguiriyas. In alcuni palos fu davvero unico. La Saeta, che innalzò ad un eccezionale categoria, dotandola di una drammaticità e di un sentimento che strappavano il cuore. “Arrivava Manuel, nervoso,  medio templao, con la Saeta chiaccherata fra sé e sé, come raccontandola, come parlandola, e in un attimo la innalzava di tono e la abbassava di nuovo, con una voce che quitaba er sentío” disse Tía Anica la Piriñaca. Un’ impressionante Saeta di Manuel Torre a Sevilla fece piangere per due volte Eduardo Miura una mattina del venerdì santo, e Manuel Soler scrisse: “Quando chiude il pellizco dell’ultimo ¡ay!, la gente che assiste, plasmata, non riesce né ad applaudire né a parlare. Tutti prendono il fazzoletto, in silenzio, e la plaza de la Encarnación si converte in un immenso aleggiare di colombe bianche che chiedono una nuova Saeta“. Melgar e Marín: “Il punto più fermo o apice del monumento saetero è senza dubbio Manuel Torre. Il cante por Saetas di Torre superò il confine della sua personalità umana e si vaporizzò nel mito flamenco. Le Saetas di Torre, sono pure creazioni, conseguenza del suo intenso e vigoroso fluire flamenco. Partendo da lui, si trasforma e riveste di echi profondi, pieno di matrici peculiari. Torre marca un hito, e se storicamente nn si può parlare di chi inventò la prima Saeta, si può affermare che il mondo saetero è diviso in due grandi metà: prima e dopo il colosso jerezano”.

Portentoso siguiriyero, segnò con la sua personalità tutti gli stili che ricreò. Diceva Juan Talega: “Il cante bueno fa male, non rallegra, ferisce. Io non ho mai sentito qualcuno che mi facesse male come ha fatto lui. Manuel faceva delle cose sue, che non assomigliavano a quelle di nessun altro e che sono inspiegabili. Tutto quello che dice la gente è menzogna. Manuel eseguiva quattro o cinque cantes por Soleares, ¡na más!, quattro o cinque cantes, chiquillo, ma lo faceva in un modo che ti faceva uscire pazzo! Lo ascoltavi una volta e non riuscivi a togliertelo dalla testa. Un eco, un ¡ay! tanto esclusivo che non assomigliava a nient’altro… Un sonido, un sonido… Mio padre lo portò a casa e ci rimase per sette giorni con Pastora, Arturo e mio zio Joaquín…Erano in casa e io dicevo a mio padre: ‘Papá, ma Manuel canta meglio di Tomás el Nitri?’ … a mio padre non si poteva discutere Tomás el Nitri! e lui rispondeva: “È un’altra cosa, diversa, Tomás el Nitri è il miglior cantaor che ho sentito in vita mia, però non mi ha fatto alzare dalla sedia come Manolo“.

 

Nel 1996 è stato pubblicato il primo volume delle sue registrazioni complete. La Sonifolk ha pubblicato un edizione di 24 tracce registrate fra il 1909 e il 1930, con Don Antonio Chacón e La Niña de Los Peines, per la comprensione della storia del cante flamenco.

La forte personalità di Manuel Torre impressionó vivamente vari componenti della generazione del ’27, così chiamata poiché in quell’anno avevano luogo gli incontri di gruppi di poeti e intellettuali con determinate affinità, che si riunirono a Sevilla con il patrocinio del torero Ignacio Sánchez Mejías, per celebrare il centenario del poeta Luis de Góngora. Oltre agli atti formali vi furono alcune fiestas flamencas, organizzate da Sánchez Mejías, che vi condusse il suo ammirato e protetto Manuel Torre, che conosceva da molto tempo. Nella memoria e negli scritti di questi componenti restano tracce di questa esperienza sia artistica che umana, e che dette vita ad un’aureola affascinante convertendo Manuel in una figura mitica del cante, e ai quali contribuirono fra gli altri Rafael Alberti e Federico García Lorca che gli dedicò nel suo Poema del Cante Jondo le sue vignette affiancate dalle seguenti parole: “A Manuel Torre, Niño de Jerez, que tiene tronco de Faraón“. Scrisse inoltre: “Ogni arte possiede, come è naturale che sia, un duende di  modo e forma diversa, però tutti hanno le radici nel punto dei sonidos negros di Manuel Torre, materia ultima e fondo comune controllabile e straziato, di legno, suono, tela e parole. Sonidos negros dietro i quali regnano in tenera intimità i vulcani, le formiche, gli zaffiri e la gande notte nella quale splende la Via Lattea”. E Alberti invece: “Manuel Torre non sapeva né leggere né scrivere, solo cantare. Però questo si! La sua coscienza di cantaor era perfetta. Quella stessa notte e con sicurezza e sabiduría uguale a quella di un Góngora o di un Mallarmé, confessò che non era in grado di lasciarsi trasportare dalla corrente, d calpestrare un terreno fin troppo conosciuto, riassumendo alla fine in modo strano e magistrale ciò che lui immaginava avremmo compreso: “Nel cante jondo ciò che sempre deve essere ricercato fino a riuscire ad incontrarlo è il tronco negro del Faraón“.

Poco tempo dopo lo scrittore e giornalista Antonio Díaz Cañabate ebbe la seguente esperienza: “Mezzanotte.  Appena entrati nella stanza. Ignacio Sánchez Mejías, un paio di francesi suoi amici, Manuel Torre, un altro cantaor e una bailaora con un guitarrista. Stavamo per ascoltare il famoso gitano Manuel Torre. Ignacio, che era un suo grande ammiratore, non aveva smesso un attimo di raccontare la sua arte durante tutta la cena: “È qualcosa che sfinisce. È qualcosa di unico. Gli senti cantare una Seguiriya e non ti importa di morire. Non si può trovare qualcosa di così bello nel mondo che sia uguale al cante di Manuel Torre”. Lui si sedette in un angolo e iniziò a bere vino, assente. L’altro cantaor, cantó. La bailaora, balló. Manuel Torre non guardava la danza né ascoltava il cante. Ignacio disse: “Dobbiamo dargli tempo, è un gitano puro”. Le tre di mattina. Manuel Torre aveva bevuto quei trenta bicchieri di aguardiente. Iniziò a cantare? No…a parlare. Verso le cinque della mattina stava parlando di galli senza tregua. I francesi dormivano ubriachi persi. Arrivarono i bagliori del nuovo giorno. Sottovoce chiesi a Sánchez Mejías: “Credi che canterà?”. E mi rispose piuttosto compunto: “Temo di no. Quando inizia con i galli, nel migliore dei casi canta alle due del pomeriggio”. Sussultai e aggiunsi:” Non è che stiamo qui fino alle due del pomeriggio vero?”. Ignacio, con naturalezza rispose: “¡ Ah, claro!. Tu non sai cos’è una Seguiriya cantata da questo uomo!”. Lo seppi esattamente alle nove e mezza della mattina. Ignacio Sánchez Mejías, quell’uomo così uomo, piangeva. Avevo la pelle d’oca. I miei nervi godevano la pace della più intensa emozione. Sono trascorsi molti anni. Nessuno mi ha mai fatto provare la stessa cosa, la profonda emozione del cante por Seguiriyas di Manuel Torre“.

Sembra che questo cante arrivò a Manuel Torre attraverso suo zio Joaquín Lacherna (ó La Serna) e per questo era anticamente attribuito a questo cantaor per esempio da Ricardo Molina e Antonio Mairena in Mundos y Formas del Cante Flamenco. La musica di questa  Seguiriya è, in verità un aggiustamento di “A clavito y canela” di Manuel Molina, che Joaquín Lacherna trasmette e insegna a Manuel Torre e che questi ingrandisce, rielabora e ricrea dandogli un nuovo timbro e facendola sua. Per questo oggi giorno, l’opinione più diffusa attribuisce questo cante a Manuel. Come scrissero Molina e Mairena nel sopracitato libro: “questo cante “può essere considerato quello classico  por Seguiriya, perché è senza dubbio quello che canta la maggior parte degli aficionados. Ha uno sviluppo orizzontale; un cante risonante con note di lacrime e dolore di una ferita, che inarrestabile, sanguina…”. Blas Vega, sostenne che ciò che fece Manuel Torre fu “sminuire la Seguiriyas, cantandola in modo più semplice, lenta, senza complicazioni o rischi”. Opinione che non condividiamo poiché la versione di Manuel forse perde in complessità, ma guadagna di profondità e di forza espressiva, come segnalano Luís e Ramón Soler.  Sostiene Ignazio Sanchez Mejías: “Non si può nel mondo trovare qualcosa di altrettanto bello del cante di Manuel Torre”.

Il cante jondo ebbe in Manuel Torre una bellissima e irripetibile incarnazione. Il suo cante era corto, d’ispirazione per niente facile, data dal sentirsi in intimità con le sue persone, con chi lo seguiva. Non allargava i melismi, era precisissimo. Juan de la Plata, difendendo il cante puro di Torre dalle contaminazioni del flamenco avvenute in tempi più recenti dice: “Un cantaor irripetibile e unico che fece scuola. Una scuola nella cui fonte hanno bevuto grandi maestri . Un cante che si è preteso di rinnovare per convertirlo in flamenco light, che non dice niente, che non emoziona che di profondo non ha niente . Un cante che non ha bisogno di fusione, né trasfusioni di sangue, poiché l’unica cosa che si può fare è avvelenarlo, inculcargli un virus mortale e farlo morire per sempre”. I versi scorrevano con assoluta naturalezza. Cantava parlando. Ed era sobrio nei suoi appoggi musicali, come era classico nel suo modo d’interpretare. Come succedeva ad esempio nella Soleá, del quale faceva un cante di messaggio diretto, di comunicazione immediata. Lo stesso succedeva con tutti i cantes, qualcuno dei quali egli riduceva alla sua minima espressione, come le sue Bulerías para escuchar . La sintesi e l’emozione, erano le note che sempre prevalevano nel cante del gigante jerezano. Lo ay della sua Seguiriya e quello della sua Saeta, sono due esempi di note affilate e brevi, che trapassavano come dardi, senza bisogno di allargare i quejíos, che con l’infinita tristezza che Manuel sapeva imprimere, era più che sufficiente sovrastando tutto ciò che gli stava intorno.

Fonte: https://quemireuste.wordpress.com/recuerdos/manuel-torre/

Manuel Vallejo

Manuel Jiménez Martínez de Pinillos, artisticamente noto come Manuel Vallejo, nacque a Siviglia il 15 ottobre 1891 e vi morì il 7 agosto 1960. È stato un cantante di flamenco spagnolo. Premiato con la II Chiave d'Oro di Cante nel 1926, Vallejo sapeva interpretare tutti i palos.

Molto popolare nel cosiddetto palcoscenico dell'opera flamenca, nel 1925 vinse anche la Coppa Pavón all'omonimo teatro di Madrid.

Manuel Vallejo è stato un cantante poliedrico capace di interpretare una moltitudine di palos e stili differenti: dai fandangos alle bulerías, passando per cantes come siguiriyas e soleás o i cante de Levante, stile in cui usava con particolare maestria nelle malagueñas e nella media granaina. Eccezionali furono anche le sue esibizioni di saetas nella Settimana Santa nella natia Siviglia, in particolare davanti al Cristo della Grande Potenza, nella Plaza de San Lorenzo, di cui era un fervente seguace.

Eccezionale discepolo di Antonio Chacón, il suo cante rientra nella linea segnata dal maestro di Jerez de la Frontera e nelle lezioni che ricevette ne La Alameda de Hércules, nei suoi primi anni da cantante professionista, da artisti che avevano conosciuto l'età di l'oro dell'epoca dei café cantante. Dopo aver maturato esperienza come professionista nella già citata Alameda de Hércules, si stabilisce a Barcellona, ​​esibendosi per diversi anni in alcuni dei suoi locali di flamenco. Successivamente trionfò a Madrid, città che a quel tempo era già diventata la più importante del mondo del flamenco a livello nazionale. Vallejo divenne, con il declino di Antonio Chacón, la figura più ambita del flamenco dell'epoca e il preferito dal pubblico. Dopo la morte di Chacón, Vallejo diresse spettacoli d'opera di flamenco con i quali rimase in cartellone fino al 1936. Dopo la guerra civile, continuò ad esibirsi in diversi cast, in tournée fino al 1954 circa. Si ritirò negli anni Cinquanta del XX secolo, morendo a Siviglia nel 1960. Ha inciso 123 album nel corso della sua carriera artistica, accompagnato da chitarristi della categoria Ramón Montoya, Miguel Borrull, Manolo de Huelva o Niño Ricardo, e molti altri.

Nel 1926 ricevette La Llave de Oro del Cante, che gli fu donata personalmente da Manuel Torre. Un anno prima, una giuria presieduta da Antonio Chacón gli aveva conferito la Coppa Pavón, istituita dalla direzione del teatro popolare madrileno situato alla testa del Madrid Rastro. Nel 1982, un gruppo di fan del flamenco, tra cui Antonio Mairena, che gli succedette nel premio La Llave de Oro del Cante, decise di onorarlo ponendo una piastrella commemorativa nella casa in cui era nato, situata in Calle San di Siviglia. Angolo di Luis con la barduela de Padilla.