Grande successo di pubblico a Stoccarda per il pezzo “FlamenquEris” di Eleonora Acanfora, con Jairo Quintana alla chitarra e Olga Matros al violino.

Un pezzo di rottura quello portato in scena da Eleonora Acanfora al 14° Festival Flamenco di Stoccarda nello spettacolo flamenquitos@.

In un panorama di pezzi classici da “saggio” Eleonora ha introdotto la sua visione del teatro flamenco, raccontando, in 10 minuti, la storia di una diciottenne di oggi che ama la vita e la danza, la sua, propria, intima storia.

Strutturato come un mini-spettacolo, il pezzo è stato pensato per esprimere quattro momenti cruciali nella giornata di un liceale. Il distacco dallo studio per dedicarsi alle prove, il lavoro, il divertimento, il riposo. Il tutto senza dimenticare il mondo che ci circonda, le speranze, i sogni anche al di là del ballo, nella vita.

L’idea è nata a dicembre, con un primo abbozzo molto più classico nella scelta delle musiche. La scelta iniziale era per Uvero (nella versione di Miguel Poveda), por alegrías nella versione di Camarón de la Isla e sempre nella versione di Camarón, La Nana del Caballo Grande.

L’opportunità di avere la musica dal vivo di Jairo Quintana e Olga Matros e l’indubbia difficoltà di riprodurre i pezzi di questi grandi maestri, hanno portato ad un accordo sulle musiche, scelte e arrangiate per lo spettacolo da Jairo Quintana.

Il racconto scenico è semplice: la ragazza rientra a casa da scuola, innervosita ed immersa nelle sue cose e nella sua felpa nera di protesta contro la guerra che minaccia di rubare il futuro alle giovani generazioni.

Come tutte le adolescenti, lascia cadere le cose e attraversa la sua stanza, finché non nota sulla sua sedia un libretto di poesie di Federico Garcia Lorca. Le copertine con i disegni di Picasso della guerra di Guernica e della colomba della pace, concetti in cui si trova immersa e che le danno ansietà e speranza.

Il libretto, nelle sue mani, diventa speranza, inizia a volteggiare come il ventaglio, quasi per far prendere il volo alla colomba.

Nella sua testa parte la musica, la voglia di vivere, di ballare. Raccoglie il suo mantón, caduto prima come fosse un peso, ed inizia a ballare, por tangos, con forza ed impeto, sottolineando il messaggio della sua felpa nera, basta guerra!

Alla fine della musica por tangos, il flamenco ha preso il posto della rabbia, cambia il clima, cambia l’abito. Via la felpa da studentessa in protesta continua, un fiore, un abito, un ventaglio rosso. Si balla por alegrias.

La giornata però e lunga, a metà pezzo quasi quasi si va a sedere ma no, non è il momento, manca il pezzo forte, lo zapateado finale per esprimere tutta la gioia di vivere che viene dal flamenco.

L’alegria termina con lo zapateado, ma il cuore pulsa ancora dentro alla chitarra, l’affanno e la stanchezza. Riprende il manton, la sua coperta di Linus, ed accompagnata dalle note del violino, che la segue, la attira ma sparisce ogni volta che lei si avvicina, si prepara per il risposo, chiusa nel suo bozzolo che la farà tornare farfalla ogni volta che la musica ricomincerà a suonare.

Ma non ci può essere pace senza volontà. Per questo l’ultimo, definitivo, sguardo è alla platea. Basta guerra, ma ognuno deve volerlo e gridarlo con forza. Come scrisse Fabrizio De André “per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”.

Il pezzo è stato sicuramente di “rottura” con la tradizione del saggio di flamenco, ed anche con l’idea di teatro che non sempre è presente nei “saggi”.

Un plauso va al pubblico, che ha compreso trattarsi di una pièce e non ha applaudito mai tra un pezzo e l’altro. Questo piccolo fatto, insieme al secondo di silenzio durante lo sguardo finale, è stato oggetto di dibattito anche acceso tra gli utenti del teatro (anche di prosa) e i ballerini. L’essere usciti, con questo pezzo, dalla comfort zone di “pezzo, applauso, pezzo, applauso, finale, applausi” ed aver proposto una storia, con un solo inizio e una sola fine ha reso entusiasta il pubblico (dal quale abbiamo ricevuto commenti più che lusinghieri proprio sulla teatralità del pezzo, oltre che sulla tecnica esecutiva) e lasciato basiti musicisti e ballerini, che diversamente abituati hanno vissuto con pathos la cosa.

In realtà il pezzo era stato creato e provato con la finalità di evitare l’applauso intermedio, anzi: c’era un accordo tra Eleonora e Jairo su come riprendere in caso di applauso per mantenere il filo conduttore della storia. Non c’è stato bisogno, la preparazione del pubblico, già riscontrata nel corso degli spettacoli ospiti, è stata sufficiente.

Vanno ringraziati, questa volta in chiaro, gli amici Giulio Ciabatti e Giovanna Lanza.

Sebbene con un’oretta di presenza e qualche telefonata, hanno saputo suggerire l’uno, da regista, i momenti decisivi del non-ballato (entrata, intermezzo, nana finale) e l’altra, da cantante lirica di esperienza internazionale, i respiri che, quando eseguiti bene, diventano sincroni con quelli del pubblico, tanto da condurlo per mano anche in un secondo di attesa finale, di silenzio che urla arte, come è stato alla fine.

Fotografie di Sibille Nunez Diaz