Lo spettacolo di Marco Flores è un racconto della vita attraverso il teatro, la musica, il canto ed il ballo.
Ispirato al romanzo omonimo di Julio Cortázar che la drammaturgia di Francisco Lopez ha adattato per il bailaor di origini gitane, la vicenda narra di Oliveira, il suo protagonista, sempre alla ricerca di qualcosa che non sa cosa sia, ma di cui ha ben chiara l’utilità. La vita attraverso il suo processo creativo come continua ricerca, tra momenti cupi e attimi di euforia. Così è l’essere umano.
Rayuela (paradiso e inferno) è il nome spagnolo di un gioco per bambini diffuso in diverse culture fin dai tempi antichi (campana in italiano). Un gioco che unisce precisione, equilibrio e divertimento, e con cui Marco Flores, per analogia, traccia un arco sulla cultura millenaria del flamenco. È un invito a un gioco nelle cui regole universali può svolgersi il flamenco, la danza poetica sostenuta da una musica magistrale e da un cante che è guida, ispirazione, ammonimento e consolazione.
Lo spettacolo è presentato in tre movimenti come se fosse una sinfonia, che ricalcano la struttura del romanzo di Julio Cortázar.
Il primo oscuro e lento, con seguiriya, serrana e liviana. Fandangos folcloristici, con l'incorporazione di una campanilla nelle mani di David; jaberas, malagueña e rondeña come continuazione. Importante la scelta delle pause, dei silenzi, dei raggi di luce convergenti, in un bianco freddo, che però portano ondate di energia al personaggio. C’è molta letteratura nordica in questa prima parte, Marco diventa Osvlad di “Spettri” e riporta alla mente tutti i cattivi pensieri della letteratura e del cinema scandinavo, Bergman su tutti. Uno splendido momento di teatro.
Tornando al flamenco, Marco Flores comanda cante e toque a ritmo di clic o fischi. Marco è passato dallo spagnolo al contemporaneo, fino a passi di danza classica con la complicità della chitarra e la facilità del maestro.
Nella seconda parte, dopo una registrazione di forme di pre-flamenco (forse Manuel Torre?), spiccava la brillante versione della Farruca del Molinero del Sombrero de Tres Picos di Manuel de Falla di Alfredo Lagos. Marco Flores ha dato prova delle sue capacità nello zapateado, soprattutto in fasi di grande potenza interrotte bruscamente in pause di infinito silenzio finire, una terza parte più festosa con milonghe e cantes de ida y vualta: tangos, habanera, vidalita e milongas con calzoni neri a fiori rossi e gialli e fazzoletto rosso, tanto vistoso quanto ammiccante. Il finale con il cappello rosso rende chiara la vittoria della vitalità sull’oscurità.
Oltre alla bravura di Marco Flores, indiscutibile, quello che impressiona in questo spettacolo è il passaggio quasi brutale da atmosfere estremamente cupe e, a tratti, angoscianti a un finale gioioso ed esuberante, con quel tanto di picaresco o guascone che dir si voglia, che può arrivare, per noi italiani, fino al limite dell’avanspettacolo, volutamente ammiccante sia tra gli artisti che tra il “capocomico” ed il pubblico. È uno spettacolo completo, seppure nella sua estrema povertà scenica: tre persone, tre sedie e niente altro.
Magistrale il cante di David Lagos, voce chiara e versatile, dagli ayeos più cupi al gioioso tiritritran delle alegrias, passando per cantes de ida e vuelta con voce chiara ed imponente, dal tango argentino all’habanera.
Ovviamente uno spettacolo difficile, sia per gli aficionados di flamenco che, a volte, si aspettano abiti colorati, fiori e pettini, voli di mantones ed evoluzioni di bata de cola, sia anche per chi va a teatro per crescere culturalmente e non è necessariamente un aficionado del flamenco, che si è trovato davanti, in 90 minuti, una proposta completa di tutti gli stili del flamenco, con l’aggiunta di un contenuto sul senso dell’essere per nulla scontato.
Io consiglierei a tutti di andare a vedere lo spettacolo, per apprezzare la bravura dei tre artisti in scena, ognuno un fuoriclasse assoluto nel proprio ambito, per capire quanto il flamenco meriti di essere Patrimonio Mondiale dell’Umanità per la sua complessità di contenuti e di racconti del vissuto, per riflettere, una volta usciti dalla sala, su quanto possa essere meraviglioso stare chiusi per novanta minuti nel buio di una sala di teatro.
Alla fine, standing ovation e quasi 20 minuti di applausi dal pubblico di Stoccarda in occasione del XIII Flamenco Festival Stuttgart, competente anche grazie al lavoro pluriennale di Catarina Mora e Miguel Angel Espino.
Testo di Andrea Acanfora
Fonti:
https://www.revistalaflamenca.com/festival-de-jerez-2020-la-libertad-marco-flores-rayuela/
https://www.festivaldejerez.es/espectaculos/rayuela/