A Vélez-Málaga, a metà del XIX secolo, nacque un altro genio del cante, Antonio Ortega, che i tifosi avrebbero conosciuto con il soprannome di Juan Breva.

Appena ebbe in mano una chitarra, ne fece un compagno inseparabile della sua voce per cantare i verdiales fandangos della sua terra come nessun altro, al quale, sospendendo il ritmo, imprimeva il proprio timbro con il nome di “ fandango abandolao di Juan Breva”.

Non c'era tablao di flamenco, café-chantant o festa di flamenco in tutta l'Andalusia dove il pubblico più eterogeneo non godesse del piacere di ascoltare la sua voce ben intonata di Laino, stupito nel vedere una voce così colta e fine uscire dalla sua figura corpulenta.

Visse l'era brillante dei café-chantant, il suo nome era così popolare da essere richiesto dai principali caffè di Malaga, Cadice, Jerez, Siviglia e Madrid. Con le sue ottime condizioni vocali creò il fandango abandolao, esprimendosi con insolita delicatezza e con voce fanciullesca come diceva di lui García Lorca, sebbene fosse un uomo di grande corpulenza e forza virile.

Juan Breva, un bambino di dieci anni, percorre le strade del suo paese vendendo i frutti che proclama.

Fandango abandolao di Juan Breva: canta del cantante che rappresenta. L'aggettivo “abandolao” deriva forse da qualche fondamento di “bandola”, e questo termine deriva dal latino pandura, che era una piccola chitarra con cui il maestro si accompagnava all'inizio delle sue esibizioni artistiche. E da lì emergerebbe il “fandango al aire de su bandola”, che finirebbe per chiamarsi “fandango abandolao”.

Quinto ottosillabico. Il carattere sentenzioso, così presente nei testi di molte canzoni di flamenco, non è necessariamente sempre carico di uno stato d'animo vendicativo, poiché spesso viene espresso come mero monito con il nobile tentativo di evitare un incidente dal quale la persona amata potrebbe uscire male e con un difficile ritorno all'amore perduto.