Che legame si può trovare tra il flamenco ed il vino? Esiste un filo che lega queste due culture mediterranee e mondiali? Si può parlare di flamenco in una serata organizzata da un produttore in cantina?
Domande che certamente mi sono posto quando è nata l’idea di presentare uno spettacolo del GRUPPO FLAMENCO MELODIA SIMPLE in una serata evento organizzata dall’AZIENDA VINICOLA SKOK.
Come fare per interessare il pubblico, che sarebbe intervenuto alla serata per amicizia o per interesse al vino? Come coinvolgerlo? Come far capire che una cultura, sebbene legata a un suo territorio come il flamenco lo è con la Spagna e con l’Andalusia in particolare, è invece patrimonio dell’umanità, tanto quanto lo è il vino?
È nato un ragionamento, piuttosto lineare a dire il vero, che ha portato a un semplice filo di connessione. Vediamo quale.
Dunque che cosa ha a che fare il vino con il flamenco?
Proviamo a capirlo insieme.
Il GRUPPO FLAMENCO MELODIA SIMPLE ha contribuito al ragionamento presentando una sorta di “verticale” del flamenco, eseguendo pezzi che hanno spaziato dal flamenco tradizionale a quello moderno, sapientemente messe in scena dalla maestra e coreografa Elisabetta Romanelli.
Per chi non fosse un amante del vino, una verticale è una degustazione dello stesso vino, però di annate diverse. Vi si riconoscono le note comuni del vitigno e del territorio, però si apprezzano le differenze sia dovute al clima di ogni singola stagione che dell’invecchiamento in bottiglia.
In questa verticale di flamenco, come in ogni verticale che si rispetti, si sono sentite delle note comuni ma anche le differenze che il tempo apporta a questo patrimonio culturale dell’umanità, passando dal flamenco classico a musiche contemporanee presentate in una versione flamenca.
Ma cosa c’entra il vino con il flamenco?
Immaginiamo un gruppo di persone, diverse per cultura, lingua, origine, legate insieme da un interesse comune. Il vino per chi ha partecipato alla serata evento oppure la sopravvivenza per chi viveva nel sud della Spagna di tre secoli fa.
C’erano tutti gli ultimi nelle campagne tra Siviglia e il mare. Gitani, contadini e famiglie di cultura moresca rimaste in Europa dopo la Reconquista della Spagna da parte dei Re Cattolici.
Ognuno con la propria cultura e le proprie tradizioni, ma tutti uguali: poveri! gli ultimi degli ultimi.
Come in tutte le campagne del mondo, per rendere più sopportabile una vita di lavoro che inizia all’alba e finisce dopo il tramonto, si cantavano canzoni imparate dai genitori che le avevano imparate dai loro genitori. Niente testi scritti, niente spartiti, senza strumenti. Improvvisazione e memoria.
Tra tutte le comunità era quella gitana (i gitani sono gli zingari dell’Andalusia) a coltivare di più la musica e ad accompagnarla con la danza.
Erano arrivati a piedi dalla lontana India con una migrazione durata secoli e avevano con loro memoria delle culture che avevano incontrato per arrivare in Andalusia. Non si dedicavano all’agricoltura quindi avevano più tempo per coltivare il loro spazio artistico.
Nella loro tradizione, così come in quella araba, c’era la danza (soprattutto femminile) e l’accompagnamento con percussioni, tipiche di tutto il bacino del Mediterraneo (basta pensare alla taranta pugliese).
I testi delle canzoni raccontano della vita vissuta, quindi di lavoro, di natura, di amore, di passione, di morte ma, soprattutto, sono una forma di voce unica degli ultimi per denunciare la propria condizione.
Fino a qui, il legame con il vino si limita alla condivisione di uno spazio e di interessi comuni, ma c’è molto di più.
Finora non si è parlato di flamenco ma solo di canti e balli popolari, i precursori di quello che sarà il flamenco vero e proprio
Ebbene, c’è un momento in cui questo frutto selvatico, la musica popolare, inizia ad essere allevato, proprio nello stesso modo in cui, millenni fa, l’uomo ha iniziato a coltivare (o meglio ad allevare, come si dice in gergo) la vitis vinifera.
In spagnolo la parola che definisce il prendersi cura della pianta di vite e dell’invecchiamento del vino usa la stessa parola? CRIANZA!
CRIANZA definisce però anche l’insieme dei propri figli, la prole.
Il vino è quindi definito da parole che riportano ad una cultura ancestrale ed intima, come lo sono arte e musica!
Dall’allevamento del clone originario e dai suoi incroci nascono delle varietà diverse.
Così è stato nella vite, dove secoli di incroci hanno portato alle varietà che abbiamo oggi.
Così è stato anche per il flamenco, quando la musica popolare, già diversa per origine e contenuti, ha iniziato ad essere codificata.
Le diverse varietà del flamenco prendono il nome di palos.
Ogni palo è un capostipite, un varietale puro, che poi si differenzia grazie al legame con il territorio in varietà locali ed autoctone.
Come il varietale del vino è caratterizzato da alcuni aspetti sensoriali definiti, così il palo del flamenco ha un elemento che lo contraddistingue, il ritmo o, per chiamarlo con il suo nome, il compas.
Un nome che, nella sua etimologia è molto chiaro: compas significa bussola, quindi non solo ritmo, ma lo strumento per orientarsi all’interno della musica.
Per far capire meglio la differenza tra un varietale e l’altro, cioè il compas di due palos abbiamo utilizzato, nella serata, un esempio “sonoro”. Due bailaoras hanno eseguito, con gli strumenti musicali tipici del flamenco, le mani e i piedi, due compas molto diversi per far capire la profonda differenza che c’è tra di essi. Tangos e Bulerias.
Molto diversi, tanto quanto possono essere diversi un merlot e un sauvignon. I presenti sicuramente hanno compreso ed apprezzato l’esempio.
Ovviamente ogni palo ha trovato, in ogni zona, una sua peculiarità, come una varietà di vite in ogni area, così che si sono generati dei palos autoctoni nelle varie aree geografiche.
Questo elemento accomuna molto i due mondi. Non solo ci sono delle differenziazioni in termini essenziali, ma anche sfumature (e spesso colori) diversi legati al territorio. Uno chardonnay friulano è tanto diverso da uno chardonnay francese quanto lo può essere un palo dell’Estremadura dallo stesso sviluppato a Cadice.
Questo flamenco ottocentesco rimaneva pur sempre, anche se addomesticato, qualcosa di popolare fatto solo per il popolo, un po’ come se il vino si vendesse solo nelle frasche o in cantina.
Ad iniziare il, diciamo così, marketing del flamenco ci pensa un italiano (ma guarda caso). Tale SILVERIO FRANCONETTI. Era figlio di un emigrante romano e di una spagnola, studiò da sarto ma visse vicino alle comunità gitane, imparandone le tradizioni e coltivando la passione per il cante.
Ebbe l’idea, geniale, di dare una forma artistica pubblica al flamenco e di portarlo nei café-chantant delle città, ottenendo un enorme successo. Era il 1870.
L’idea di Silverio fu paragonabile a quella di imbottigliare ed etichettare il vino. Nel giro di 30 anni gli spettacoli di flamenco giunsero nei café-chantant e poi nei teatri di tutto il mondo, portando fama e denaro agli interpreti, che rimanevano, per la maggior parte, membri della comunità gitana, elevando però lo status economico e sociale dell’intera comunità.
Il culmine della crescita del flamenco come patrimonio artistico della cultura iberica si ebbe nel 1922, quando Federico Garcia Lorca e Manuel de Falla decisero di organizzare il Concurso del cante flamenco o cante jondo.
Da quel momento la musica flamenca e, di conseguenza, il baile flamenco sono entrati a far parte degli stili di musica riconosciuti e codificati a livello internazionale. Anche per la musica, come per il vino, bisogna finire su una guida per essere riconosciuti.
Oggi il flamenco è diventato uno degli elementi che caratterizzano la Spagna, di cui ogni turista che si rispetti vede almeno un pezzettino e si porta a casa il ricordo di quelli che cantano (magari un po' lamentandosi, per il gusto di alcuni stranieri), battono la mani ed i piedi ed hanno dei bei vestiti, i ventagli, le nacchere e gli scialli.
Gli elementi in comune tra vino e flamenco sono dunque molti, ma tutti dovuti alla stessa motivazione: si tratta di cultura! La cultura è fatta così, nasce popolare, indigena, poi si diffonde e si differenzia in tante sfumature territoriali, per unirsi poi in un fenomeno di massa, che interessa