Domenica 28 luglio 2024 è andato in scena allo Theaterhaus di Stoccarda lo spettacolo Flamenquitos@ nell’ambito del 14° Stuttgarter Flamenco Festival.

Per noi è la terza edizione a cui partecipiamo e quindi gli elementi per fare delle comparazioni sono relativamente pochi.

In ogni caso ci sentiamo di dire che, di anno in anno, il livello medio delle esibizioni è in continua crescita, nonostante già nel 2022 (nostra prima partecipazione) fosse molto alto.

Per identificare il tipo di spettacolo, Flamenquitos@ è una serata dedicata a ballerini e ballerine di flamenco, a patto che siano non professionisti. Non essendoci solo le scuole di Miguel Angel e Caterina Mora, non si tratta di un saggio, ma di un vero e proprio spettacolo. Sul palco si alternano singoli e gruppi, chitarristi e cantanti, provenienti da diverse località della Germania, ma anche dalla Svizzera, dalla Francia, dall’Austria e, ovviamente, dall’Italia.

C’è un punto di forza inattaccabile nell’idea di Flamenquitos@ che è quello della condivisione. È un’occasione per tutti i partecipanti di confrontarsi con persone di altre scuole, di altre città, che seguono percorsi formativi diversi. Ognuno dei partecipanti, anche quando sia la “star” della propria scuola o, addirittura, della propria città, deve essere pronto ad accettare che ci possa essere qualcuno più bravo, molto più bravo o anche estremamente più bravo di lui. Può anche capitare che qualcuno, al contrario, si renda conto che il livello della propria scuola è superiore a quello di tante altre.

Non siamo mai abbastanza obiettivi se ci confrontiamo solo con chi conosciamo troppo bene e con cui condividiamo gli spazi tutti i giorni.

Ovviamente i “padroni di casa” hanno un numero di pezzi più elevato (per loro probabilmente lo spettacolo è anche “il saggio”), però hanno il coraggio e la voglia di mettere seduti in sala anche i “fan” delle scuole ospiti. Qui nasce la prima differenza che si apprezza tra la platea tedesca e quella italiana, se mai si pensasse di fare qualcosa di simile qui da noi.

Non si percepisce alcuna atmosfera di “inquisizione” nei confronti degli altri, il pubblico non è in sala per applaudire i suoi e criticare gli altri, ma per vedere lo spettacolo. Il pubblico non è nemmeno in sala per un “applauso di cortesia” a tutti e una ovazione ai propri cari. Al contrario c’è un apprezzamento diverso per ogni pezzo, che riflette la bontà, il livello e la preparazione delle singole esibizioni, esattamente come avviene in ciascuno spettacolo teatrale.

Ovviamente i principianti fanno, come è giusto, cose semplici e i corsi avanzati cose più complicate, ma se sono preparate con la giusta cura risultano sempre gradevoli allo spettatore.

In ogni caso, di anno in anno, il livello medio dei numeri è continuamente in rialzo.

Una serata come flamenquitos@ ha molte finalità, ma non si presta di certo ad essere oggetto di una recensione di tipo “critico”, proprio per la sua natura.

Quello che si può scrivere sono le sensazioni personali che rimangono dopo aver assistito alla serata, che sono sempre molto piacevoli, nonostante ci si approcci con la tensione per la performance della propria ballerina.

Inizierei parlando delle tre scuole che giocano in casa, quelle di Stuttgart di Miguel Angel e Caterina, e quelle di Schorndorf: tutti i pezzi proposti sono stati curati nel dettaglio con una preparazione puntuale. Come sempre lunghi e precisi gli zapateados e grandissima attenzione al compas, aiutato anche dalle palmas di Miguel Angel, che rende molto omogeneo il pezzo.

Due i singoli proposti da questi allievi: molto bene Verena Kappe nel suo pezzo. La presenza scenica, la precisione e l’atteggiamento sono proprio quelli giusti. Brava!

Carino anche il pezzo di Aaliyah Yildirim, che nonostante la giovane età si butta nei singoli con grande coraggio.

Degno di nota, per le finalità inclusive che sono tipiche del flamenco, il pezzo “The Abba Project” – I’m a marionette” del gruppo La Rondeña di Bad Liebenszell, che ha unito coro, baile, cante, toque e sostegno agli anziani in un unico pezzo. Peccato forse un po’ la scarsa precisione, ma un’idea sicuramente attrattiva e vincente.

Si è fatta notare in positivo Jule Ihle con il suo pezzo “Pa mi abuelo Wolf”. Un baile accompagnato solo da palmas e cante di grande intensità. Brava!

Sotto le aspettative invece il pezzo di Jan Bopp, che lo scorso anno aveva portato sul palcoscenico di flamenquitos@ un singolo maschile di notevole livello e intensità, che purtroppo quest’anno è scemata molto.

Del pezzo di Eleonora Acanfora parleremo nel post dedicato, essendo stato un momento di “rottura” con flamenquitos@ tradizionale, molto apprezzato dal pubblico.

Spettacolo in ogni caso molto godibile, che ha lasciato entusiasta il pubblico da Sold Out della Theaterhaus.

Fin qui il resoconto della serata, che però deve essere condito anche con un po’ di pepe. Oltre al pezzo di Eleonora, che per sua propensione personale, cultura ed età vuole essere di “rottura”, si sono visti altri spunti di performance meno “ad immagine e somiglianza” di un tablao spagnolo e più simili a un teatro internazionale.

Qui ovviamente siamo di parte, però vale la pena forse di fare un piccolo ragionamento filosofico sul flamenco fuori dalla Spagna. Deve essere un copia pedissequa di quello spagnolo, ossia trasmettere sentimenti, emozioni, stati d’animo spagnoli attraverso l’imitazione? Oppure la motivazione per cui il flamenco è Patrimonio Immateriale dell’Umanità va intesa in un senso più ampio?

UNESCO dice:

“Il flamenco è un'espressione artistica risultante dalla fusione della musica vocale, dell'arte della danza e dell'accompagnamento musicale, chiamati rispettivamente canto, ballo e suono.”

“La culla del flamenco è la regione dell'Andalusia, situata nel sud della Spagna, sebbene abbia radici anche in altre regioni come Murcia ed Estremadura.”

“Esprime tutta una gamma di sentimenti e stati d'animo – dolore, tragedia, gioia e paura – attraverso parole sincere ed espressive, caratterizzate dalla loro concisione e semplicità.”

“Il flamenco viene eseguito durante la celebrazione di festività religiose, rituali, cerimonie sacramentali e feste private. È un segno di identità di numerosi gruppi e comunità, in particolare della comunità etnica zingara, che ha svolto un ruolo essenziale nella sua evoluzione. La trasmissione del flamenco avviene all'interno di dinastie di artisti, famiglie, club di flamenco e gruppi sociali, che svolgono un ruolo determinante nella conservazione e diffusione di quest'arte.”

È giusto interpretare il flamenco patrimonio mondiale dell’umanità come qualcosa di solo spagnolo (quasi solo andaluso) o sarebbe giusto che questo riconoscimento lo facesse trascendere dal mondo hispano-andaluzo e aprirsi ad espressioni diverse. Se il flamenco esprime tutta la gamma dei sentimenti e degli stati d’animo, non possono questi essere internazionalizzati? Parole sincere, espressive, concise e semplici devono per forza essere in spagnolo? Non si esprimono i sentimenti di un qualunque palo anche in una lingua diversa? Non può l’arte flamenca diventare identitaria anche di comunità fuori dalla Spagna, conservandone palos, stili e forme, ma adeguandone testi e costumi?

In sostanza, in linea teorica non è fatto obbligo di vestirsi da andalusi e ascoltare testi (importanti) di cui non si capisce il significato per diffondere l’arte flamenca, oppure sì?

Forse ragionamenti sciocchi, ma come tutte le forme d’arte, è difficile tenerle chiuse tra le quattro mura del proprio, piccolo mondo. Se è arte, spiccherà il volo, si contaminerà un po’ ma rimarrà se stessa quando ha radici profonde, diventerà solo espressione dell’essere come si è, ovunque.

Grazie a Caterina Mora e Miguel Angel per organizzare questo spettacolo tutti gli anni e per offrire a così tante scuole l’opportunità di confrontarsi e di crescere artisticamente, anche attraverso collaborazioni sovranazionali che divulgano il messaggio di un flamenco senza confini.